13 aprile 2010

Carnevale, una tradizione tutta Casteldaccese


da un articolo di Giuseppe Mancuso pubblicato su "La meridiana di Casteldaccia"

Il Carnevale è quel periodo di festa che segue l'epifania e precede la quaresima cristiana, caratterizzato da momenti di euforia, balli e mascherate di ogni genere e tipo, culminante nel giovedì grasso e nel successivo martedì grasso. La sua origine è molto lontana e spesso la si identifica come lascito dei famosi Saturnali (che cominciavano già  nel mese di dicembre).
Certamente le usanze dei giorni dedicati al Carnevale ci lasciano bene intendere che si tratta di attimi di liberazione in cui ogni uomo, discendendo ad uno stato svincolato da ogni regola e canone, ha l'opportunità  di dare sfogo ai suoi istinti prima di rientrare nella sobria atmosfera penitenziale della quaresima. Tali riti culminano poi con il famoso atto finale del rogo di Carnevale, interpretato nelle diverse varianti locali in cui esso viene messo in scena: muore l'uomo vecchio e stanco, portando con se le tristezze ed i mali, per dare spazio ad un essere, in tal senso, rinnovato.
In Italia possiamo vantare numerose maniere di festeggiare il Carnevale: l'antico carnevale di Venezia, il carnevale di Firenze, Torino, Viareggio, Termini Imerese, solo per citarne alcuni. Nel '500 i gesuiti istituirono il Carnevale Santificato (caratterizzato da pratiche devozionali) per contrastare le stravaganze e le licenze di quei giorni. Anche Casteldaccia, nel suo piccolo ambito locale, vanta una tradizione carnevalesca lunga circa cento anni (e forse pià¹, ma purtroppo non rimane alcuna testimonianza).
A detta degli antichi il Carnevale era il momento in cui la "famiglia" e il "vicinato" si stringevano attorno a se stessi, trascorrendo i tardi pomeriggi e le serate ballando e "scialando" liberamente. Le case dei popolani si aprivano agli invitati ai balli: si spostava al muro la scarsa mobilia (un tavolo e qualche sedia al massimo), si coprivano le pareti con mappine (strofinacci) se queste presentavano oggetti che non era bello mettere in mostra (colapasta, portastoviglie e quant'altro), si attaccava il "grammofono" o il "giradischi" (per chi ne possedeva uno) con mazurche, tanghi, valzer e tarantelle e ci si lanciava nel pieno del baccano.
Il Carnevale era la massima espressione della calorosa ospitalità  che caratterizza da sempre il popolo casteldaccese, infatti, oltre ai paisanisi era soliti invitare pure i scirani (estranei) cioè la gente dei paesi vicini. Esso aveva inizio subito dopo l'epifania e i "balli" si organizzavano nei giorni di sabato e domenica delle settimane poste tra la fine delle festività  natalizie ed il mercoledì delle ceneri: a questi giorni si aggiungevano gli ultimi giovedì di febbraio, il giovedì grasso e il martedì grasso. Oltre alle case private, messe a disposizione per l'occorrenza, venivano allestiti a festa i "magazzini" con festoni e ghirlande (da noi casteldaccesi identificati con la parola majiaseni o saloni, luogo in cui si esegue musica). I giovani erano soliti vestirsi in maschera (i mascarati) e visitare i diversi luoghi di ballo rallegrando i presenti.
E' doveroso sottolineare che i costumi dei mascarati non erano composti da maschere ufficiali ma da semplici stracci indossati malamente o sottane, scialli, vecchie gonne... rimaneva l'obiettivo comune di rendersi irriconoscibili. Essi non si spostavano per le vie del paese da soli ma dovevano rigorosamente essere affiancati dal vastuniere, (persona in abiti civili chiamato in tale modo perchè teneva un bastone in mano) che aveva anche il ruolo di presentarle all'interno dei sà¹oni: egli, riconoscibile, garantiva l'integrità  di coloro che invece erano irriconoscibili. Le serate erano scandite dalla musica ballabile, da fugaci schiticchi e, perchè no, da furtivi incontri d'amore: il carnevale infatti era l'occasione per potersi zitare (farsi fidanzati), occasione che doveva apparire unica per le ragazze avanti negli anni. Ogni famiglia metteva a disposizione qualche burnìa (barattolo) di sarde salate oppure olive salate, pomodori secchi, formaggio e pane; qualche altro portava del buon vino rosso, che non doveva assolutamente mancare, in quanto un generoso bicchiere veniva sempre offerto al vastuniere della serata.
Erano gli anni in cui gli uomini ballavano con gli uomini e le donne con le donne, anche se il Carnevale era pure l'occasione in cui i giovani potevano avvicinarsi alle ragazze senza incorrere in calorose bastonate. Erano gli anni in cui molti giovani, per necessità  economica o familiare durante quelle notti sceglievano la fuitina. La tradizione del Carnevale trovava la sua massima espressione, dunque, nel genuino sentimento di stare assieme, di fare comunità , di ritrovarsi.
E' doveroso citare, a questo punto la famiglia Clemente nelle persone di Giovanni Clemente (classe 1877) prima e il nipote Giuseppe Clemente (1905) dopo che con il loro buon umore, il loro instancabile spirito gioioso e festaiolo riuscivano a trascinare l'intero paese nei divertimenti di Carnevale. E fu grazie all'interesse della famiglia Clemente che già  subito dopo la II guerra mondiale si organizzarono le prime sfilate di carri e gruppi in maschera (le carruzzate). Discorrendo con la figlia di Giuseppe Clemente, Giovanna, abbiamo appurato che tali manifestazioni si svolgevano già  negli anni '20 e '30, ma non rimane testimonianza alcuna.
Gli anni '50 vedono un interesse crescente per il Carnevale, di pari passo con la ricostruzione che caratterizza il dopoguerra (numerose sono le foto e i ricordi dei discendenti Clemente, unico punto di riferimento); degli anni '60 e '70 sappiamo che prosegue la tradizione dei majaseni e delle carruzzate. Negli ultimi anni '70 si interrompe la tradizionale sfilata dei carri per poi essere riproposta negli anni '80 dalla cooperativa "La Riviera": sono gli anni in cui il fervore carnevalesco torna ad essere alimentato sempre da alcuni membri della famiglia Clemente, dalle sceneggiate di Mastro Rosario Clemente e Nino Guttilla, dalle abbanniate che annunziavano i giorni culminanti della festa con la sfilata dei carri, ora elaborati anche da congegni meccanici.
E' curioso ricordare che il mercoledì delle ceneri, inizio della quaresima cristiana, per i casteldaccesi corrispondeva all' ultimo giorno di Carnevale in cui era possibile recarsi in campagna per scialareliberamente fra salsiccia e vino (fatto rintracciabile nell'antichissima tradizione in cui i contadini si permettevano l'ultima abbuffata prima della quaresima): tale "pagana" abitudine è stata fortemente contrastata dall'attuale parroco Don Leonardo Ricotta e le sue tracce si sono perse già  da un decennio.
Gli anni '90 sono caratterizzati dal progressivo sfaldamento della tradizione casteldaccese: cominciano a distinguersi i majaseni in cui ballano le famiglie, da quelli in cui si incontrano solo masse di giovani al suono di musica dance. Questi ultimi prevarranno sul passato ormai lontano e scandiranno un nuovo modo di fare Carnevale: poco liscio, molta confusione, assenza di comunità .
Numerosi sono stati i tentativi da parte della pubblica amministrazione di incoraggiare e sostenere economicamente l'organizzazione del Carnevale a Casteldaccia. Ma, malgrado gli sforzi lodevoli, non si puಠfare a meno di evidenziare il dato di fatto: non siamo riusciti a conservare lo spirito originario della nostra festa in quanto il vano progresso degli ultimi anni, anche a Casteldaccia, ha portato con sè il triste svuotamento da ogni valore, venendo a mancare la dimensione piccola e calorosa del vicinato e dello stretto parentado.
E' necessaria una nuova impostazione logica nell'organizzare la festa, una prospettiva imprenditoriale, seguendo l'esempio di tanti paesi della Sicilia che sono riusciti a far rivivere la loro tradizione in chiave turistica e dunque economica. E' necessario l'investimento in scuole preparatorie delle arti plastiche e costumistiche, e anche un atteggiamento propositivo e attivo da parte di tutti i casteldaccesi, se il fine comune è il mantenimento di tale manifestazione. Al contrario, lasceremo soltanto il ricordo di un Carnevale semplice, antico ma pur sempre sentito e fortemente corrisposto dalla spontaneità  popolare.

http://www.casteldaccia.net/

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